Wednesday, September 17, 2003
boston university (VII)
Post di Fabrizio Venerandi sul newsgroup alt.fan.fratellibros
Main topics: OT
Author: Fabrizio Venerandi
Visto che rimanevo in silenzio, corrugando la fronte, pensavo in realtà
alla cena, a come si inseriva in questo discorso del torneo il fatto
della cena e dell'acqua, stavo disidratandomi, jonathan aggiunse non
richiesto che per me, il rettore lo faceva per me, per darmi il tempo di
girare da solo nella boston university, ed avere il tempo di trovare
l'assassino. "Nessuno potrà lasciare la sala del torneo senza dare
nell'occhio" aggiunse chiudendo uno dei suoi.
Abbassai lo sguardo, non riuscivo a pensare alle implicazioni di questa
cosa di io da solo nella boston university che giro per cercare un
assassino che nel frattempo gioca a carambola bitmana.
"La cena" dissi alla fine.
"Che cena?" chiese gaitano che non afferrava il nesso.
"Cosa mangio. La cena" aggiunsi risparmiando su saliva e congiunzioni.
Jonathan sbuffò scuotendo la testa. "Buffet freddo" rispose indicandomi
un tavolo sul fondo della sala, su cui biancheggiavano sei arbanelle
ricolme di cus-cus, e una più piccola con della salsa rossastra,
circondate da un numero precisato di molli piattini di plastica, posate
di plastica, bicchieri di plastica e tovaglioli di plastica, un tripudio
di derivati del petrolio alla loro prima ed ultima apparizione in
questo mondo, fra qualche ora sarebbero diventati scorie non
riutilizzabili ad accarezzare il fondale di qualche oceano pacifico o
meno.
Non c'erano bottiglie. Guardai meglio per esserne sicuro, c'era solo un
macchinario con degli ugelli tipo tette di mucca su cui era scritto
coca-cola, con ampie lettere bianche che sbandieravano su di un fondo
rosso.
I ragazzi si erano già messi in una lunga fila ordinata e serpeggiante,
ad attendere la loro dose di cus cus e coca cola.
'L'impero' pensai ammirato. Una voce dentro di me mi diceva usa la forza
giovane luke skywalker, rifuggi la parte oscura, mentre l'altra metà
diceva vorrei cantare insieme a voi, con magica armonia, magica armonia,
auguri coca cola e poi, un mondo in compagnia, una cosa del genere.
Cedetti, diciamo così, ci provai.
Stavo avvicinandomi alla lunga fila per vedere se c'era modo di passare
davanti, magari millantando la propria appartenenza al gruppo dirigente
della boston university, quando la figura del magnifico rettore mi si
fece dinnanzi in primissimo piano, tipo un nemico nascosto che sbuca da
quella coda dell'occhio che nei videgiochi in treddì non esiste ancora,
tipo quake III tanto per capirci, apparizione in primo piano, dicevo,
non tanto atta a suggerire un flashback, quanto per trascinarmi verso la
piccola porta di servizio.
Di nuovo la sua voce europea, da dietro mi diceva di andare adesso,
subito, e di scoprire chi fosse l'assassino, una voce che non aveva
niente da spartire con quei volti grassi da yankee che ingollavano cus
cus come mucche cieche, per ruminarlo poi assieme alla coca cola che
dicono sia anche un ottimo antiruggine. "Noi resteremo qua a fare il
nostro torneo, lei lavorerà per trovare l'assassino. Alla fine vedrà che
avrà anche lei il suo bel vantaggio" mi disse osservandomi il centro
della pancia.
Io annuii, semplicemente. Avevo terminato la saliva.
Fuori della sala del torneo era l'inferno: probabilmente per risparmiare
sull'elettricità erano stati spenti tutti i condizionatori dell'aria e,
di colpo, senza opporre nessuna resistenza climatica, la boston
university era come implosa all'incontrario. Gli allegri e freschi
corridoi che avevo visto nel pomeriggio si erano trasformati in afosi
tunnel nei quali microscopiche ed appuntite zanzare muovevano il loro
corpo dal peso infinitesimale per vagliare la maggiore o minore densità
di umidità presente nel cosmo. I muri sembravano bagnati, e l'aria
soffocante entrava dalla bocca e dal naso, non tanto perché qualche
forza la spingesse veramente verso i polmoni, ma per puro scontro
fisico, e quindi stagnava bagnata negli anfratti più spugnosi del mio
corpo, senza portare nessun giovamento.
Girare per i corridoi deserti di questa boston university versione
post-atomica, mi dava contemporaneamente un senso di tranquillità e di
paura. Tranquillità perché finalmente potevo mettermi le dita nel naso,
faccio per dire, o pisciare in uno dei cessi per studenti lasciando la
porta aperta: tutta quella serie di cose che ti rilassano, la beata
solitudine che -di norma- fa in modo che l'intestino rilasci i suoi
muscoli inibitori e a te venga voglia di sederti sulla tazza del cesso a
fare spazio alle novità, oppure di girare per la casa trattenendo e
rilasciando la chiusura sfinterica che regola la pulizia del nostro
corpo, sono solo stimoli, fase di succhio e e fase di buco sono cose che
ti restano dentro non si dimenticano tanto facilmente. Tranquillità e
paura, dicevo: paura perché in me dimorava il recondito sospetto che
magari nella sala del torneo ci fossero tutti i bostoniani, tranne uno,
l'assassino, che nell'ombra spiava i miei movimenti aspettando il
momento giusto per farmi secco.
Alzai le spalle. Pazienza. Sarei morto da eroe, nel senso che facilmente
il magnifico rettore sarebbe riuscito ad inanellare i due cadaveri,
quello del bonaventura sottoscritto e quello del crane, in modo che
l'uno giustificasse il secondo, del tipo, il crane invidioso della
gioventù perduta uccide l'adolescente bonaventura e poi si soffoca con
un cuscino, oppure collutazione e moriamo tutti e due, oppure una sporca
storia di sodomia, il crane e il bonaventura si facevano le sveltine
quando è partito un colpo di troppo, oppure il bonaventura scopre che la
tesi del crane aveva come testo il mattino ha l'oro in bocca il mattino
ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in
bocca, il mattino ha l'oro in bocca, il mattino eccetera come nel famoso
film e allora capisce che il crane è un pazzo assassino e lo soffoca con
un cuscino prima che il crane possa uccidere lui e poi, preso dal
rimorso e scoprendo che in realtà la tesi del crane era scritta sul
*retro* di quei fogli usati per fare pulizia di testina, e poi, dicevo,
presa una pistola, il bonaventura si spara alla tempia mancandosi e
muore per infarto, il rumore dei revolver in luogo chiuso è qualcosa di
inimmaginabile.
Cose del genere, al rettore non manca certo la fantasia.
'In ogni caso sarà un successo' pensai.
Il titolo della tesi del crane, quella della sua conferenza, niente
poteva togliermi dalla testa che fosse da quelle parti la soluzione
dell'assassinio. A cosa stava davvero lavorando david crane, perché era
stato invitato a quella dannata conferenza, erano questi i pensieri che
mi giravano per la testa, crane era venuto alla boston university per
fare una marchetta e pagare l'ennesima rata della sua villa
californiana, oppure sarebbe stato un trampolino di lancio per qualcosa
di nuovo, qualcosa per cui la gente avrebbe detto, cazzo david crane, è
dieci anni avanti tutti gli altri, dannazione, sono queste le cose che
mi giravano per la testa.
Ecco cosa mi serviva, informazioni, parlare, sapere, non girare come un
coglione in una boston university equatoriale, a soffrire per le punture
delle zanzare alle caviglie. Mi venne il dubbio che il magnifico
rettore, allontanandomi dai ragazzi e dai docenti, avesse voluto
piuttosto impedire che favorire il mio compito, ecco cosa mi veniva da
pensare.
E poi acqua, dannazione, acqua avevo bisogno di acqua la cosa aveva
smesso di essere spiritosa, io soffrivo, e solo i chioschetti della coca
cola segnalavano che -sì- anche a philadelphia la gente ha la sciocca
abitudine di ingerire materiale liquido. Chioschetti spenti peraltro, di
notte ragazzi si dorme.
Mi stavo innervosendo, il sudore mi appiccicava tutta la maglietta sulla
pelle, da lontano si sentiva un clacson intermittente, inframezzato da
una serie di bestemmie in lingua d'uso, e non sapevo dove andare,
davanti a me si paravano una serie di corridoi, apparentemente identici,
costellati da porte chiuse. La stanza di david crane, dovevo partire
dalla sua stanza, ma come tornarci? Mi ricordavo a stento che avevamo
seguito il corridoio principale, che tagliava a croce il secondo
corridoio ugualmente principale, ma per motivi abbastanza oscuri, per me
almeno, era detto secondario, forse per via delle classi che c'erano non
lo so.
Comunque, ero perso nei miei drammi religioso-disadratati, quando vidi
in lontananza una figurina scura che spariva nell'angolo del corridoio.
Restai interdetto per un attimo, non ero ben sicuro di averla veramente
vista, forse era stata soltanto un ombra, ma ad ogni buon conto iniziai
una goffa corsa verso la parte finale di quel corridoio, che abbandonava
quello principale per portarmi chissà dove, non è che il corridoio
veramente mi portasse da qualche parte, i corridoio sono bestie
immobili.
Arrivai ansimando alla curva a gomito dove quell'ombra era (forse)
sgattaiolata via, e guardai oltre l'angolo, giusto per vedere una porta
chiudersi, o meglio, l'ultimo estremo movimento concesso ad una porta
prima di chiudersi, una flebile fessura luminosa che poi non c'è più, e
di nuovo fui assalito dai dubbi, poteva essere stato soltanto un
riflesso, visioni di un corpo costretto dalla sete e dalla fame.
A passi lenti mi avvicinai alla porta, guardai la scritta in americano
posta sopra una targetta di plastica semitrasparente, una parola che per
fortuna manteneva dentro di sé qualche retaggio di civiltà, parlo del
latino, la scritta recitava library, che non ci vuole un genio per
capire che lì dentro ci avrei trovato dei libri, l'inglese spesso e
volentieri è uguale al latino con qualche ipsilon e vu doppia infilata
in mezzo, ma non sempre, una volta scrissi lattery in una conferenza
suscitando il sarcasmo dei miei colleghi, dannati americani, povere
mucche.
Poggiai la mia mano sulla maniglia, e feci peso spingendo, la porta si
aprì e qui successero un po' di cose che sarebbe bene spiegare in
dettaglio: parato (come tutti gli altri) in tenuta da partita, David
Carson II, numero 15 della squadra di rugby della boston university fu
il primo a vedermi, ma non potè dire ne a ne b, perché aveva la bocca
piena; Fred Dakota detto Freddy, numero 7 della suddetta squadra di
rugby, non fece caso a me, tutto occupato com'era a riempire la bocca di
David Carson II; Philip Ericson, numero 3 della squadra di rugby, era
impegnatissimo nel cambio delle pile stilo del telecomando del dvd
screen 48'' e si accorse della mia presenza solo quando Jason McMerry,
numero 9 della squadra di rugby, mi gettò uno sguardo rabbioso e con un
balzo saltò l'avviluppo di corpi creato dai numeri 15 e 7 della squadra,
finendo con la caviglia nuda infilata nel cappio naturalmente creatosi
dal riproduttore dvd, cadendo rumorosamente a terra e trascinando nel
suo giovanile impeto il leggero lettore dvd di plastica grigia, che
rimbalzò due o tre volte sul pavimento, perdendo frammenti di tecnologia
tutt'intorno; Heenry Tupperware, numero 12 della squadra, era seduto ad
un tavolo con aperta davanti a sé una rivista di fitness e aerobica, la
stava sfogliando con il suo unico braccio ed ebbe il buon gusto di
restare immobile a vedere quello che gli accadeva attorno; Caseena
Davidson, detta honey hole, in parziale uniforme da ragazza pom-pom,
cacciò un urletto, ma tanti ne aveva cacciati prima e ancora un po' ne
cacciò dopo, prima che -alle sue spalle- George Becker, numero 1 della
squadra di rugby, si decidesse di abbandonare il movimento ondulatorio
del bacino che tanto doloroso giovamento portava alla Caseena e, pene
cespuglioso al vento e casco da partita in testa, si dirigesse verso il
bonaventura sottoscritto stringendo i pugni, non avendo nient'altro di
afferrabile sottomano; Karl Daytona, raccatapalle della squadra, si
passò una mano sulle labbra, a nettarle da piccole gocce che le
imperlavano, e contemporaneamente posò sul tavolo che gli stava di
fronte una bottiglia semipiena di acqua mineralizzata senza bollicine,
con un'etichezza azzurra di improbabili cieli alpini e fonti sorgive tra
nevi perenni.
'Acqua' pensai, focalizzandomi su questa fresca visione e dimenticando
tutto il resto, la biblioteca immersa nella semioscurità, le canne che
fumavano asprigne nei portaceneri improvvisati con del domopack
metalizzato, la parte inferiore del parziale vestito da pon-pon buttato
per terra, accanto ad un pacchetto vuoto di popcorn salati ricoperti di
glassa zuccherosa, le maglie da rugby bianche con potenti scritte nere,
il filetto di saliva che sembrava tener unite le insoddisfatte labbra di
Caseena, il telecomando che sfrecciava per un attimo vicino alla mia
testa ed andava ad infrangersi sul muro alle mie spalle, la mano di Tedd
Dakota teneramente impigliata nei capelli di David Carson II, e l'enorme
schermo tv a 48'' su cui adesso fibrillava la neve elettrica, mentre
prima che Jason McMerry distruggesse involontariamente il riproduttore
dvd, scorrevano immagini della grandi partite di sport anglo-americano.
Tutto era sparito ai miei occhi, c'ero solo io e l'acqua, bonaventura e
quello che tra poco sarebbe stato una parte di bonaventura, niente altro
e allora mi lanciai verso la bottiglia, un tuffo stile film al
rallentatore, giusto per incocciare il poderoso cazzotto di George
Becker, lanciato a sua volta contro la mia faccia, e poi la neve
elettrica del tv 48'' esplose tutta per la stanza, come un fiume in
piena, in cui io cadevo come rimbalzandoci dentro.
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(per motivi lunghi a spiegare, questo è l'ultimo episodio che posso
postare)
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