Saturday, July 26, 2003
boston university (V parte)
Post di Fabrizio Venerandi sul newsgroup alt.fan.fratellibros
Main topics: OT
Author: Fabrizio Venerandi
Il cane si era intanto lanciato in una sequela di chiassosissimi
latrati, abbaiando come un dannato, e saltando avanti ed indietro sulle
sue tozze zampe. Aveva gli occhi rossi come la brace, e ad ogni
abbaiamento i denti brillavano sotto il pelo nero del muso, bagnati
costantemente dalla saliva che il cane scatarrava tutt'attorno.
'bau bau' dissi cercando di farmelo amico e sperando che un qualche
barlume di educazione si fosse infilata di suo in quell'enorme bestia
pelosa, e non gli venisse in testa l'idea di saltare dentro la finestra
e di sbranarmi, non sapevo neppure se la porta del bagno avesse una
chiave.
Niente, il cane non avanzava e non arretrava, restava di fronte alla
finestra, e continuava ad abbaiare come se il povero sottoscritto gli
avesse sottratto il suo unico amato osso, ed ora se lo stesse
rosicchiando alla faccia sua.
"Cuccia!" esclamai all'improvviso, inutile parola buttata in mezzo al
suo ricorsivo abbaiare, più tentavo di ammansirlo, più quello si
scaldava e roteava il suo grugnito da bestia.
Rimasi così per un qualche minuto, ad osservare il cerbero monofronte,
poi con un gesto improvviso afferrai le due ante della finestra e le
chiusi con sicurezza. Il cane zittì, come sorpreso dalla mia iniziativa,
poi si alzò sulle due zampe posteriori, buttando le anteriori contro la
finestra e spalmando il suo naso sul vetro della medesima.
Rimase così ad osservarmi, senza dire né ba né ma, e man mano che mi
spostavo per la stanza, lui spostava il suo muso, come non mi volesse
perdere di vista. Sul vetro rimaneva la bava lumacosa del suo naso, come
testimonianza del mio passeggiare.
"Bastardo, cane bastardo" dissi, scandendo bene le labiali, se ce ne
sono.
Dando le spalle al cane, tornai dal piccolo tavolino, e tirai fuori il
portatile del crane: si trattava di un elegante e sciccoso portatile
acorn, pieno di ferite per improbabili connettori, e con un monitor a
matrice attiva delle dimensioni dello scatolotto di cartone in cui
mettono le pizze quando le comperi al take away. Era fottutamente
grosso: aprii lo schermo con delicatezza, battei un tasto. Subito lo
schermo si illuminò e apparve uno sfondo di scrivania grigio grafite e
una finestrella con scritto username, e password, parole che non mi
portavano informazioni, ma me ne chiedevano invece, anzi non le
chiedevano propriamente a me, le chiedevano a david crane, che dal canto
suo, era impossibilitato a fornirne.
Il computer chiedeva al cadavere di david crane di parlare ancora, e non
sapeva che l'unica parte viva che ancora restava di david crane era
proprio dentro di lui, in quei documenti che mi erano preclusi.
"Bastardo, portatile bastardo" dissi rimettendolo nella sua valigetta,
ben protetto dalla confezione slabbrata di popcorn dolci.
In quel momento la porta si aprì, ed apparve ai miei occhi la ben nota
figura di jonathan, circondato da due personaggi ameni: il primo dei
due, che poi scoprii essere il magnifico rettore della boston
university, era un tipo basso e tarchiato, dal grosso naso, e dal
profilo certamente occidentale: aveva l'espressione arcigna e bonaria
allo stesso tempo, di certe popolazioni della slovenia o della romania,
disposte a farsi in quattro per te, ma nello stesso tempo, pronte a
farti in quattro, nel caso si debba proprio farti la pelle. Indossava un
elegante gessato cenere, da cui spuntava limacciosa una cravatta nera
come la pece, un segno nero sopra il bianco della camicia che più bianco
non si poteva.
Il secondo dei due, escludendo il buon jonathan, era invece un vero
americano, invecchiato, grosso, con un sorriso sempre stampato sulla
bocca, anche se la teneva chiusa, i capelli inbiancati, e l'impressione
di essere ancora nel pieno delle proprie forze, tipo clinton prima dei
pompini. Vestiva nella stessa maniera del magnifico rettore, ma il corpo
tozzo da mandriano faceva sì che i vestiti sembrassero solo appoggiati,
come se fosse una cosa del tutto temporanea il loro stare lì, come in
effetti è per tutti noi.
"Hi" dissero i due tipi, all'unisono, e mentre lo dicevano guardavano il
cadavere del crane, così da sembrar salutare la povera carogna.
"Ti hanno salutato" mi tradusse jonathan, e io dissi buonasera e guardai
fisso negli occhi il mio italico compagno.
Jonathan tradusse il mio saluto e poi restò in silenzio, ad aspettare.
Io tossii, e fissai di nuovo gli occhi di jonathan, spalancando le
palbebre e facendogli un segno con la bocca. Jonathan non capiva. Mi
toccai allora la gola, con le dita della mano destra, e jonathan ancora
non capiva, scuoteva leggermente la testa aggrottando le sopracciglia. I
due personaggi intanto avevano smesso di esaminare il crane, ed avevano
notato la fitta segnaletica che si perdeva nel vuoto della stanza tra me
e jonathan.
Jonathan fece spallucce e mise le mani a piramide come dire, che minchia
vuoi e io stetti zitto, preferivo combattere l'ignoranza con il
silenzio. Mi sentivo come un bambino alla sua prima comunione che prende
il corpo di dio in bocca, e il corpo di dio gli si attacca al palato
superiore, e così tutto il momento di comunione dello spirito viene
sprecato a cercare di staccare il corpo di dio dal palato con il solo
ausilio della lingua e senza usare le unghie, ecco perché le ragazze
cattoliche sono maestre a limonare, non è la castità prematrimoniale, è
l'abrasività dell'ostia. Ma nel mio caso specifico l'impressione della
secchezza della fauci, come si direbbe, era data, non da incontri
mistico divini, bensì dal fatto che quello stronzo di jonathan di nuovo
si era dimenticata l'acqua mineralizzata, ed ora faceva lo gnorri
lasciandomi schiattare dalla sete.
Il tipo basso e tarchiato disse qualcosa di strascicato e l'americano
grosso rise e tutti e due guardarono jonathan che rise pure lui, e alla
fine il mio compagno mi disse che quello era il magnifico rettore e
l'altro tipo, il brizzolato, era l'adetto alla sicurezza, aveva anche
fatto parte del servizio d'ordine durante lo sfortunato spider glass
tour di david bowie, negli anni '80, tanto per far capire il livello di
professionalità.
"Bene" dissi io. "E cosa ci facciamo quà, una partita a carte? Con il
morto?" chiesi appoggiandomi ad una parete della cameretta, in modo da
non avere nel mio campo visivo il muso scuro del cane che era rimasto là
basculante come una mosca bagnata sul vetro a guardare il suo futuro
senza capire perché.
Jonathan non tradusse la mia sarcastica frase, e disse che il magnifico
rettore aveva deciso di non chiamare la polizia, non subito. Era
stupido, pensava il rettore, avere le migliori menti informatiche del
nostro secolo, e non usarle: di fronte a un delitto che è il culmine
della passione e della logica (in un delitto bene si amalgamano
passione e logica, almeno secondo il magnifico rettore), di fronte a
questa serie di scatole cinesi, chiuse le une dentro alle altre come le
più famose matriosche russe, ecco che il rettore confidava che la mente
del programmatore sapesse cogliere il disegno del delitto, tutti i soldi
che erano serviti ai solerti genitori per pagare gli studi di uno
stronzetto ambizioso, ecco, finalmente potevano rivelare la loro
utilità, non per un lavoro triennale a pacchetti software di innegabile
utilità, chessò, il team software che ha programmato gli elenchi
numerati automatici su microsoft word, bastardi, tutta una vita di studi
per il proprio quarto d'ora di celebrità warralliano, gli elenchi
numerati su word, e poi una vita a fare help on line per un programma di
gestione amministrativa di una software house tedesca acquisista dalla
microsoft per motivi fiscali, ecco la vita santa del programmatore, non
per questa miseria umana, dicevamo, ma per fare del reverse engineering
su di un codice già scritto, la cui esecuzione aveva significato la
morte del signor david crane, ecco questa poteva essere una bella prova
per un esperto programmatore, partire dalla fine del programma, dal
adesso puoi spegnere il computer, e andare a ritroso, fino allo zoom
finale sul dito che aveva premuto il tasto di accensione, e alle sue
impronte digitali: all'inizio insomma di tutta quella serie di step che
avevano reso il creatore di pitfall II un freddo pezzo di carne
dall'aspetto beffardamente umano.
Questo mi disse jonathan, traducendo man mano il discorso che il
magnifico rettore stava tenendo camminando in tondo per la piccola
stanzina, e aggrappando le mani le une nelle altre nella parte finale
della schiena, proprio sopra il culo. L'altro tipo, il clinton
prefellatio, stava immobile con lo sguardo sereno e le braccia conserte,
annuendo di tanto in tanto, e quando il magnifico rettore terminò la sua
roboante messinscena disse anche un 'cool' a voce bassa, ma non tanto
bassa da non essere sentita dal rettore che sorrise leggermente
d'orgoglio.
Un discorso affascinante, pensai. Almeno: io credevo che quello fosse il
discorso del rettore, per quello che ne sapevo il rettore poteva anche
aver descritto i suoi problemi alla prostata, con dovizia di
particolari, e il jonathan poteva avermi beffato per sminuire la mia
persona di fronte al rettore, sempre che fosse il rettore, dannate
lingue, alla normale menzogna della parola si aggiunge quella del
traduttore.
Ma anche se ci fosse stata una precisa corrispondenza tra le parole in
italiano maccheronico del jonathan e quelle algide del magnifico
rettore, sotto il gratificante discorso leggevo facilmente il desiderio
di una bella pubblicità gratuita per la boston university, non solo ogni
tanto muoiono i docenti, ma insegna anche a scoprire il male che risiede
in ognuno di noi, e intanto le iscrizioni salgono come le azioni della
apple sotto steve jobs.
Decisi comunque di stare al gioco e chiesi cosa c'entravo io.
Dopo un breve scambio di battute tra i tre colleghi, il jonathan,
imbarazzato, mi disse che dal mio curriculum vitae sembravo uno dei
programmatori più intelligenti e perspicaci, ero considerato un giovane
promettente della nuova programmazione, erano quindici anni che venivo
considerato un giovane promettente ed ora andavo per i quaranta.
Feci un leggero inchino verso i due dotti signori e sibiliai al jonathan
che cazzo hai scritto nel curriculum, io ho difficoltà a programmare il
videoregistratore, e jonathan alzò le spalle e mi ricordò che comunque
ero uscito dall'università di informatica ecologica, qualche
infarinatura dovevo averla.
"Non era una università jonathan, era un corso semestrale organizzato
dal centro macrobiotico" ricordai sorridendo sempre serafico ai due tizi
che assistevano alla schermaglia italica con vivace curiosità, l'unica
infarinatura che ricordo era quella del pesce fritto alla grigliata di
fine corso.
"Uh -fece il mio compagno- grigliata di pesce dai macrobiotici? Non mi
sembra proprio"
"Non ti invitammo" infierii e gli rivelai che noi studenti, dopo sei
mesi di pappine senza sale e verdure bollite, festeggiammo la fine del
corso presso il ristorante l'astice d'argento, con grande spargimento di
olii burrati, vinelli bianchi e crostacei. Gaitano non fu invitato
perché aveva la fama di uno che vomita, e poi era un leccaculo dei
macrobiotici.
Il mio compagno incassò male il colpo, sbiancò e si scurì nello stesso
tempo, un po' come era successo al crane. "Bravi" disse, e non aggiunse
altro, forse perdendosi nei ricordi di quei giorni, e stringendo i denti
gli uni contro gli altri, eccetto i canini che restano all'infuori.
"Il corso l'hai finito comunque" disse soltanto dopo averci pensato un
poco.
"La mia tesina di fine corso era intitolata semiologia delle lingue
klingon" non dico altro e allora jonathan tacque.
Quando ci vide entrambi in religioso silenzio, il magnifico rettore
osservò adesso la mia faccia adesso quella del mio compagno e poi
parlò al jonathan, il quale tradusse avete qualche indizio, da dove
possiamo iniziare?
Un tipo che andava al sodo il rettore.
Mi schiarii la voce. "Avrei bisogno di sapere quale era il titolo della
relazione di david crane" dissi, e a queste parole i due americani
fecero un volto sofferente, non proprio subito, appena jonathan tradusse
il mio pensiero, e alla fine i due confessarono che no, non aveva un
tema il crane, da buona guest star, aveva deciso lui il soggetto della
relazione e non lo aveva comunicato agli organizzatori, lo si sarebbe
saputo soltanto quando crane, le mani nell'aria per farsi fico davanti
ai trecento invitati ancora mezzi sfatti per il vermentino e le pastine
salate del buffet, avesse aperta la bocca per produrre anglofoni fonemi
incomprensibili ai più, david crane aveva un curioso difetto di
pronuncia che rendeva l'ascolto dei suoi vaniloqui, pur geniali e
lucidi, assolutamente faticoso e defaticante, l'ascolto dico, aveva la
effe che faceva contatto con la vu doppia con un curioso effetto wafer,
irriproducibile per iscritto.
Esaminai con attenzione quei tre antagonisti che stavano spandendo il
loro odore maschile per la stanza che -poco a poco- stava riacquistando
la sua glacialità, adesso che la finestra era tornata chiusa.
Il magnifico rettore in fondo era anche bello, con la sua giacca e
cravatta fatte su misura, il viso da chi ne sa una più di te e quell'una
è proprio quella che te la mette nel culo. Dopo aver confessato la sua
ignoranza sul tema della relazione del crane, era rimasto con le grossa
ciglie nere a spingergli il muso verso il basso, come di segugio che
segue la traccia di sangue lasciata dal padrone ancora con la canna
fumante.
L'addetto alla sicurezza aveva il fare ottimista del capitano a cui la
nave sta andando a picco, e mentre vede i mozzi di bordo precipitare nel
fondo del mortale mare artico, pensa chi se ne frega l'assicurazione
copre tutto, e si lustra le mani le une nelle altre, ne avesse tre
voglio dire. Quindi sorrideva pacifico, tutt'altro che infastidito
dall'intrusione dei programmatori all'interno del suo lavoro, anzi, una
cosa in meno da fare e meglio un programmatore che la polizia.
Jonathan stava come poteva, sembrava ancora ripensare alla faccenda
degli astici, e non partecipava a quel consesso di menti elette,
rimuginava tutto chiuso in se stesso, e mi teneva il broncio, quasi
senza farci caso, teneva il grugno duro e masticava l'aria che
sconsideratamente aveva la bella idea di finirgli dentro alla bocca.
Sospirai: nessuno di quei bei tipi si meritava un briciolo della mia
intelligenza, anche perché non mi era proprio parso di sentire una
parolina magica che inizia per abi e finisce per cab, passando per
l'acronimo c.c. , e questa parola era: bonifico. Per le mie prestazioni
si intende.
E così rimasi anche io a guardare un punto qualsiasi della stanza,
fingendo che quel semplice addormentarsi della vista, scompagnando forme
e colori degli oggetti, potesse in qualche modo essere assimilato ad una
profonda riflessione sul come si erano svolti gli eventi, da dove
l'assassino era entrato, eccetera. Purtroppo, in questo silenzio
generale che si era venuto a creare, ebbi la non felice idea di girarmi
per osservare il filo dell'orizzonte dalla finestra, dando la schiena ai
miei ospiti, per poter chiudere gli occhi senza essere visto, e magari
-poggiando la fronte contro il freddo vetro- appisolarmi almeno un
attimo, non avevo avuto ancora modo di stare un po' tranquillo, e così
mi voltai verso la finestra per incrociare -non la mia immagine riflessa
dal vetro nel preserale andantino- ma le due braci fiammastre del cane
nero che era ancora lì, silenzioso, ad aspettare il mio ritorno, per
ricominciare a abbaiare sguaiatamente con colpi continui ed assordanti.
Non solo me ne ero dimenticato, ma mi spaventai pure, dissi cane
bastardo, io detesto i cani, hanno la penosa abitudine di crepare ante
tempore, lasciandoti nello sconfortante dubbio di non essere stato un
buon padrone, e io certo non ero mai stato un buon padrone, non sono
buono manco ad ubbidire figurati fare il padrone.
Jonathan alle mie spalle rise, cuccia, disse, cuccia bell, e il cane a
queste parole, nonostante la finestra fosse chiusa, si accucciò
immediatamente sotto il davanzale iniziando a scondinzolare una cosa
mozza che teneva poco sopra il culo. Aveva tirato pure fuori una lunga
lingua carnosa, color salmone e stava tutto fedele, non sembrava manco
lo stesso cane, mi era successa a volte la stessa cosa anche per i
cristiani, gente che in particolari condizioni si apre tutta e si butta
su un divano a ridere magari di niente e poi si addormenta, mentre poco
prima ti aveva chiesto cosa cazzo avevi da guardare e si era tirata su
la cerniera dei pantaloni, cose di questo tipo, sembra cretino bussare
prima di entrare in un cesso pubblico deserto e invece viene sempre
utile, lezioni di vita credo.
"Old faithful bell" disse con tono entusiastico il sosia di clinton, e
io lo guardai senza dire niente.
"Cosa ci fa lì quel cane?" chiesi a jonathan, il quale si avvicinò alla
finestra e fissando la bestia disse che era bell, il vecchio cane da
guardia della boston university, un incrocio tra un alano e un bastardo,
e quindi anche lui era bastardo, i bastardi sono come lo zero davanti al
moltiplicatore.
"Un tempo era davvero un buon cane da guardia, adesso gira per il parco
e quando vede qualcuno che non conosce, inizia a far cagnara" aggiunse
facendo un gesto vago per aria.
"E perché non lo date via?" chiesi osservando il pelo che si appoggiava
sulle scarne ossa, mostrando che buona parte di quella che mi era
sembrata muscolosa carne, era in realtà pelle e folta peluria.
Jonathan fece spallucce. "Aspettiamo che muoia" disse e rimase in
silenzio a guardarlo.
"Affetto?" chiesi.
"No. Per la rottamazione" precisò, e mi spiegò che c'era un negozio di
animali lì vicino che faceva uno sconto rottamazione per chi comprava un
cane di razza dando indietro la carogna del precedente, usavano degli
incentivi statali per la prevenzione della sars. Ma il proprietario
prendeva solo i cani morti, perché ammazzare lui quelli anziani non
aveva il cuore, era un animalista.
"Povera bestia" dissi a bassa voce, in fondo era un compagno.
Stesi un braccio in avanti, verso il vetro e chiesi a jonathan come era
possibile, voglio dire, come era possibile che qualcuno fosse entrato
dalla finestra se fuori c'era il cane, voglio dire, avrebbe fatto un
casino d'inferno.
Jonathan si passò una mano nei pressi della bocca, e andò poi
irrimediabilmente ad infilarsi ed intrecciarsi attorno al solito
peletto. "Bell non abbaia a chi conosce, abbaia solo agli sconosciuti"
disse alla fine, sempre con il tono di chi stia facendo una confessione,
o di chi la stia ricevendo, non ho mai capito perché quando si fa
testimonianza dei propri peccati si usi lo stesso tono complice e
lascivo di due amanti che si sussurrino nelle orecchie viscerali
porcate.
"Quindi l'assassino è uno della boston university" mormorai.
Jonathan mi mandò una sguardo molle, alzando le sopracciglia, come dire,
caro mio, questo io l'avevo già capito quando avevo messo il naso nella
stanza, e non rispose nulla, si girò di nuovo verso i due americani, si
fa per dire, forse si aspettava qualcosa di più da me.
Il mio compagno cominciò un lungo dialogo con i due tipi, si erano messi
in cerchio, in triangolo voglio dire, usando come ipotenusa il letto con
cadavere incluso del crane. Parlavano con lo stresso tono sussurrato di
prima, ma -forse per il masticato accento yankee di cui erano dotati-
più che un sussurro sembrava un singhiozzo biasicato, a me assolutamente
incomprensibile. Da parte mia restai come un punto esterno al triangolo,
in posizione non idonea a fare alcun tipo di quadrilattero, mi passai
una mano sul viso, massaggiandomi gli occhi con i pollici, antica
tecnica tantrica insegnatami da paolina, vista in un cartone animato
giapponese dice lei, insegnata da qualche brufoloso compagno di classe
furbetto pronto ad ogni cosa pur di metterle le dita addosso penso io, e
cercai di rilassarmi, stavo crollando dal sonno, e la richiesta di
stanchezza formulata dai poveri pezzi del mio corpo era tale che, ad un
certo punto spostai il cuscino a fiori da per terra, e mi ci sedetti
sopra, mordido abbraccio di terga, e usai la parete come schienale,
buttai un ultima occhiata al triangolo rantolante che pareva non aver
dato molto peso al mio crollo interno, e abbassai le palpebre, come -nel
cuore della notte- si abbassa l'audio della televisione per vedere le
donne pompinare i loro numeri telefonici in sovrimpressione. In questo
caso pompinare è verbo, probabile neologismo.
Restai ad ascoltare il biascichio sommesso degli anglofoni, e crollai in
un sonno sudato e agitato.
Nel sogno mi trovavo con jonathan, non so dove fossimo, sembrava una
piccola barchetta nel mezzo di un oceano nerissimo, nuvole basse, mare
colore dell'inchiostro. Jonathan era incazzato con me, si teneva tutto
dentro, ogni tanto bofonchiava qualcosa di ringhioso, mi dava le spalle
e mi faceva gli occhi cattivi, come dire, bello stronzo e io sapevo
anche il perché, era per colpa della relazione, ero andato a leggerla e
la mia relazione era fuori tema, avevo cominciato a parlare del perché i
computer da meravigliosi oggetti eccetera, e tutti si erano alzati dalle
loro sedie ed avevano iniziato a protestare a dire quando, quando, il
titolo era quando, e non se l'erano presa con me, ma con jonathan
insultandolo per avermi fatto arrivare fin dall'italia, con quello che
costava viaggiare in aereoplano. E quindi ci eravamo trovati in questa
barca in mezzo all'oceano tutto grigio, e adesso mi teneva il broncio,
ma un broncio brutto, da incazzato. E senza parlarmi stava dietro ad un
grosso pentolone fumante che occupava quasi interamente lo spazio
disponibile sulla barca, e dall'odore capivo che si trattava di
pastasciutta, era l'odore tipico dei pentoloni pieni di pastasciutta da
poco, quella dura che si compra nei supermercati tedeschi. Io ero seduto
sulla prua, o sulla poppa, dipende dai punti di vista, la barca era
ferma, e tenevo stretto fra le braccia il portatile di david crane, ma
il portatile era trasformato, adesso era una specie di scatola di
cartone con la tastiera disegnata sopra. Mentre aspettavo che jonathan
finisse di fare la sua pasta mi mettevo a scrivere e mi accorgevo che il
computer anche se era di cartone funzionava, male ma funzionava, e
iniziavo a scrivere qualcosa, e mi accorgevo che lo spazio non faceva
niente, premevo il punto sul cartone dove c'era disegnata la barra
spaziatrice, ma non succedeva niente, le parole restavano tutte
attaccate insieme, un'enorme macchia che -man mano che scrivevo-
diventava sempre giù ampia e incomprensibile, nel senso che non si
riusciva a leggere a distinguere le singole parole, era diventata solo
un ammasso di lettere. 'E' pronto' mi diceva allora Jonathan, e mi
metteva dentro al cartone un mucchio di pasta, con un sugo liquido che
sembrava acqua e scivolava sopra la pasta lasciandola scondita, erano
penne lisce, cazzo jonathan sono penne lisce, non riescono a prendere
sugo, gli dicevo e il sugo sembra acqua aggiungevo e lui sbottava, ebbé,
ebbé, hai qualcosa da dire su questo sugo, e io gli ripondevo che la sua
cazzo di pasta scotta e scondita non la mangiavo, e la buttavo in mare,
assieme alla scatola di cartone, che nel segno era un portatile. Allora
jonathan s'incazzava e diceva che lui la pasta l'aveva fatta apposta per
me, che per trovare quel sugo aveva dovuto dissanguare il crane, guarda
come si è ridotto il crane per colpa tua, mi diceva, e mi indicava il
bordo della pentola e dentro la pentola, lo sapevo senza doverci
guardare, c'era il crane senza più sangue, una specie di sacchetto vuoto
e sgonfio, e io -sapendo che dentro c'era il crane- dicevo che non ci
volevo guardare, che non me ne fregava niente, e allora jonathan diceva
che ero un assassino, che l'avevo portato su quella barca per farlo
fuori, senza testimoni. Io scuotevo la testa, me la prendevo fra le
mani, cosa mi era venuto in mente di lasciare tutto quello che avevo a
casa mia per venire in america, pensavo, e poi mi ricordavo che casa mia
era in america, che si stava facendo buio anche lì, nel mezzo
dell'oceano e che si era alzato il vento, adesso era proprio freddo.
"It' getting dark" disse ad alta voce il magnifico rettore,
improvvisamente, svegliandomi dal torpore in cui ero caduto. "It's
getting dark" ripeterono gli altri due, come un riflesso condizionato. I
tre tipi erano sempre tutti attorno al letto del crane, ma visti dal
basso, con la stanza nella penombra della sera, le luci smorte, l'odore
selvatico di bestie che sono state sudate e ora, grazie al
condizionatore della boston university, non più, ma ancora sotto
l'effetto untuoso del sudore che, quando sparisce, diventa una specie di
anima che ti si attacca addosso sulla pelle e ti rimane tutto intorno,
dicevo, visti da questa prospettiva e con questi precedenti letterari,
avevano assunto un aspetto estraneo rispetto all'ambiente, alla camera
ammobigliata, al freddo crane, al sottoscritto bonaventura che intanto
si alzava e si stropicciava il volto con le mani.
Fuori dalla finetra adesso c'era un gioco di ombre, il parco della
boston university avvolto nel gelido manto della notte, dove per gelido
intendo per noi che lo guardavamo dal dentro, dal freschetto
condizionato, fuori ci doveva essere un terribile caldo umido; grosse
zanzare volteggiavano fameliche attorno alla macchia scura del vecchio
bell, arrotolata per terra ai piedi della finestra, con il muso infilato
sotto la pancia, visto da sopra sembrava un grosso cerchio di pelo
ansimante: un alieno proveniente da nettuno che cerca sopravvivenza nel
suo stesso corpo.
Vedendomi di nuovo in piedi jonathan mi disse che tra poco sarebbero
andati a cena, tutti quanti.
"Uh, anche il crane?" chiesi indicandolo.
Il mio conterraneo mi buttò la solita occhiata che conoscevo bene e
disse che no, crane non sarebbe venuto con noi, anche perché durante la
cena ci sarebbe stato il torneo di carambola birmana e quella si gioca
senza il morto.
"Carambola?" chiesi perplesso, pensavo scherzasse, e invece era tutto
vero, subito dopo il discorso introduttivo del crane, era nel programma,
ci sarebbe stato l'annuale torneo di carambola birmana, detto anche
bigliardino yememita, e crane o non crane quello non poteva saltare. Sia
perché -continuò il mio brunetto sotto lo sguardo attento del magnifico
rettore, che capiva solo le parole internazionali del gaitano, tipo
okkey, score o minchia, ma fingeva comprendere ogni favella italica
uscita dalla bocca del nostro- sia perché, dicevo, la boston university
detiene il titolo mondiale e non vuole certo darlo in pasto a quei molli
e lascivi indiani senza colpo ferire, sia perché per parte della
conferenza erano stati utilizzati i ricchi fondi del carrom
international club, che gestiva a livello mondiale tutte le
organizzazioni competitive e non del gioco della carambola birmana, o
bigliardino yememina, o -più volgarmente- carrom. Se saltava il torneo
della sera, la boston university perdeva automaticamente la coppa con
gli elefanti, e doveva restituire i soldi -già utilizzati- per la
gestione del torneo stesso, insomma un disastro.
"Ma come potranno gli studenti giocare e divertirsi, con il cadavere del
crane ancora caldo!" esclamai io, e a queste parole il gaitano si
avvicinò al crane e infilò una delle sue mani pelose e rugose sotto ai
pantaloni del defunto programmatore, la tenne lì per qulche secondo,
ravanando sotto la stoffa, poi la ritirò, la poggiò in quella parte del
corpo che sta tra il naso e il labbro superiore, e poi disse che il
cadavere del crane non era più caldo, si poteva giocare.
"The show must go on" commentò con un bella sghignazzata il clinton
preraffaelita, e tutti ci mettemmo a ridere, escluso il cadavere e il
sottoscritto, tutti è sempre stato un termine un po' semplicistico.
"E l'assassino?" chiesi ancora mentre il magnifico rettore apriva la
porta e spegneva la luce della camera.
"Tu non giocherai a carambola" mi disse dall'oscurità la voce cavernosa
di jonathan. "E' questa la grande intuizione del rettore. Mentre tutti
(e ci saranno tutti ci puoi scommettere, dannazione) saranno a giocare a
carambola birmana per tenere alto il nome della boston university, tu
sarai libero di girare per le stanze e trovare l'assassino".
"Uh. E se non lo trovo?"
Ci fu una pausa lunghetta, mentre l'ombra di clinton usciva dalla
stanza, seguita da quella di jonathan.
"Se lei non trova l'assassino -disse alle mie spalle una voce che non
avevo mai sentito prima, con un marcato accento polacco- se lei non
trova l'assassino, ne troveremo uno noi", così disse il magnifico
rettore, con un suono della bocca irriconoscibile, come se -cambiando la
lingua, cambiasse anche la parte del corpo preposta ad emettere parole.
"Farò del mio meglio" balbettai, affrettandomi verso la macchia di luce
che segnava l'uscita, e sentii la mano pesante del rettore che mi
premeva sulla spalla, e diceva "lo so, lo so", e rideva, in americano.
--
http://space.virgilio.it/mariacecilia.averame@tin.it/