Sunday, July 13, 2003
boston university (IV parte)
Post di Fabrizio Venerandi sul newsgroup alt.fan.fratellibros
Main topics: OT
Author: Fabrizio Venerandi
Mentre camminavamo per i corridoi di uno dei due tronconi laterali della
boston university, jonathan riprese a poco a poco la sua proverbiale
loquacità. Mi raccontò (con voce rotta dall'emozione) che mentre ero
chiuso nell'aula di informatica a correggere il mio lavoro, qualcuno si
era introdotto nella camera ammobiliata in cui david crane stava
riposando dopo il lungo viaggio in aereo che l'aveva condotto a
philadelphia, e l'aveva soffocato con un cuscino a fiori, l'assassino
dico non il viaggio, lasciandolo poi freddo cadavere e fuggendo
probabilmente dalla bassa finestra aperta che dava sul parco di cui
sopra: la porta era infatti chiusa a chiave e la chiave sunnominata era
ancora nella toppa quando jonathan aveva provato ad aprirla, la porta
dico, non la toppa. "Avete sfondato la porta?" chiesi cercando di stare
dietro alla piccola falcata del gaitano. Jonathan si girò verso di me
come se avessi detto una cazzata. "No, siamo passati dalla finestra, era
aperta ti ho detto", le porte costano. "Aveva dei nemici?" chiesi con
tono professionale buscandomi in cambio un'occhiata acida del mio
interlocutore. "Era solo un conferenziere, che minchia ne so se avesse
dei nemici" rispose scocciato e disse che forse mi ero lasciato prendere
troppo la mano. "Lui era solo un conferenziere e tu anche sei solo un
conferenziere, non metterti a fare il piccolo investigatore". Annuii,
era lungi da me il pensiero di mettermi a lavorare a gratis con
competenze che non mi appartenevano. Continuammo a camminare, in un
silenzio quasi monacale. Dopo pochi minuti arrivammo in un corridoio che
era pieno zeppo di giovani rampolli americani con stampato nel viso
l'orrore e negli occhi la consapevolezza che anche nella fresca boston
university si annidava la morte e i suoi strascichi, in questo caso i
cadaveri, nello specifico quello del signor david crane. Una teen-ager
piangeva immersa nelle braccia di un'altra ragazza, lacrime che
inondavano la t-shirt, capelli che si appiccicavano al volto arrossato,
umidità nei pressi dei capezzoli: non potei trattenere una stentata
erezione. Tale è il prodigio dell'uomo, anche quando è nel centro della
sofferenza e del trapasso, se la sofferenza è altrui e il trapasso pure,
non può fare a meno di pensare che prima o poi dovrà tornare a fottere.
"Ragazzi fateci passare, tornate nelle vostre aule" urlò in lingua
anglofona il buon jonathan, almeno credo, comunque fendendo la calca dei
ragazzi e spingendomi quasi a forza dentro una piccola porticina su cui
era attaccato un'adesivo del boston university rugby club.
Dentro c'era
un caldo bestiale. Mi ritrovai di fronte alla bocca spalancata di david
crane, bocca spalancata verso il niente che gli stava sopra, e che
fissava con gli occhi irrigiditi di chi ha visto così bene come stanno
le cose da non potere più richiuderli. La barba sfatta da programmatore
incorniciava tutto il viso, confondendosi poi in tutt'uno con i capelli,
come affocati raggi rossastri che avvampassero il globo del sole, è
un'immagine poetica. Il resto del corpo era buttato lì nel letto, come
uno che prende il sole e lo coprono di sabbia, una cosa morta e che
adesso pesa come il piombo. "Cazzo" dissi a bassa voce, ho sempre avuto
impressione per le cose morte. La stanza era una piccola stanza
ammobiliata, c'era il letto, un armadio di formica bianca, un comodino,
una televisione retta da un braccio metallico, l'eterno condizionatore
che scatarrava in alto, un tavolinetto senza cassetti e basta non c'era
altro, uniche uscite la porta da cui ero appena entrato, la finestra
semichiusa e la porta che conduceva al bagno. Infilai la testa dentro al
bagnetto, c'era un cesso, una doccia, un lavandino, uno specchio, una
ventola e puzza di merda, niente finestre in bagno. Il lavoro del
condizionatore era inutile, le ante della finestra della cameretta erano
ancora spalancate, e l'aria caldo-umida del giardino entrava nella
piccola stanzina, stavo sudando solo aprendo e chiudendo la bocca.
Jonathan osservava adesso me e adesso il morto, come se ci stesse
confrontando per capire chi fosse l'uno e chi fosse l'altro. "La
finestra era aperta" dissi indicandola. "La finestra era aperta" mi
confermò jonathan passandosi una mano sulla faccia. Per terra il cuscino
a fiori, che conteneva il probabile invisibile ultimo respiro del povero
david crane. Fossi stato da solo nella stanza l'avrei preso e me lo
sarei portato avidamente al naso per aspirare l'odore di david crane,
l'ultimo suo respiro cazzo. Lasciai perdere, jonathan non avrebbe
compreso. Girai per un poco nella stanza, per quel che potevo. Aprii
l'armadio, giusto per vedere una giacca color cammello, un paio di
braghe color blù oltremare e una camicia cremisi, tutto rigorosamente
appeso con attaccapanni di fil di ferro laccato in oro. Nell'unico
ripiano dell'armadio, un set completo di magliette alla pelle bianche e
di mutandoni, stesso colore, stesso tessuto, medesimo odore ci avrei
scommesso. Appoggiai le ante dell'armadio e mi avvicinai alla scrivania.
Una valigetta di pelle mostrava appena il suo tecnologico interno, un
portatile nero della acorn, una matita rossa da una parte e blù
dall'altra e un sacchetto di popcorn salati ricoperti di glassa
zuccherata, rimasugli degli anni '80 a cui david crane evidentemente non
era riuscito a sfuggire. Il pacchetto di popcorn era violato, ma
richiuso con linguette diligenti e sigillato da una molletta per
stendere il bucato di colore rosso, a forma di coccodrillo, anche questo
un retaggio degli anni d'oro del nostro programmatore preferito. Gettai
ancora un'occhiata verso il cadavere di david: ecco l'uomo che tanto
avevo desiderato conoscere, ecco la lingua che tanto avrei voluto veder
muoversi a spandere parti di umidità, eccola fredda e immobile fuori dai
denti, come una cravatta che sbuca imperterrita dal colletto. Jonathan
si schiarì la voce. "Era il primo" disse, e io gli risposi che sì, era
stato davvero il primo in tutto, aveva programmato little people
computer quando ancora i programmatori di the sim's si facevano le
seghette chiusi nei bagni dei lunaparc, little people computer era stato
il lavoro che consacra un'attività dedicata agli home computer, tu
facevi partire il programma e ti appariva lo spaccato di una casa e
dentro alla casa c'era un omino con il suo cane, e tu davi dei comandi
per fare in modo che l'omino vivesse bene con il suo cane, e se non
facevi niente quello si faceva i cazzi suoi, ma sbagliava a fare le cose,
tipo dormiva poco o si dimenticava di bere o di dare da mangiare al cane,
non c'era scopo, lo scopo era avere un piccolo amico dentro al tuo
computer, una tipa se lo era dimenticato acceso per una settimana era
tornata dalle vacanze il piccolo omino era verde, stava male a letto non
si alzava più e la tipa si era messa a piangere, era una troppo
sensibile per stare da sola con un computer. "Il primo a dover fare la
conferenza" precisò jonathan con voce acida, il suo intervento sarebbe
stato da lì a due ore. "Ero venuto per svegliarlo e portarlo da te per
fartelo conoscere: poi saremmo andati tutti alla sua conferenza". Senza
dire nulla andai fino dal comodino e lo aprii, giusto per vedere uno
spazzolino sbrecciato e una scatola di dentifricio gusto paperino,
diavolo d'un programmatore. "Allora" mi chiese jonathan, passandosi un
fazzoletto sul cranio sudato. "Che ne pensi?" Chiusi il cassetto e mi
girai verso jonathan con fare investigativo. Una marea di interrogativi
si accavvallavano nella mia mente, intrecciandosi e liberandosi, ed io
cercavo di fare una sorta di catalogazione per temi ed argomenti per
fare in modo che fossi io colui che possedeva i suoi pensieri e non il
contrario. Chi aveva ucciso david crane e perché?, questa era la
domanda principale che si tirava dietro tutta una serie di sottoclassi,
come ad esempio come era riuscito ad entrare nella stanza? a cui potevo
rispondere, come aveva fatto jonathan, era entrato per la finestra, per
la finestra lasciata aperta. Ma allora subito una seconda domanda
arrivava ed era, perché cazzo david crane per riposare ha lasciato
aperta la finestra con il caldo torrido che c'è fuori, visto che aveva
un condizionatore dell'aria in camera e solo un imbecille in una
giornata tropicale come questa aprirebbe una finestra per fare entrare
aria umida in una fresca stanza con il condizionatore? E a questa
domanda non sapevo davvero rispondere e la mia bocca muta veniva
incalzata da altre domande, del tipo, dove è la relazione di david crane?
nell'armadio non c'è, nel comodino manco a pensarlo, e nella sua
valigetta c'è solo il portatile. Se davvero david stava per andare a
leggere la sua relazione di lì a poco, non avrebbe avuto certo il tempo
di connettere il portatile ad una stampante dell'università per stampare
la relazione stessa. Senza voler considerare la matita rossa e blu, cosa
se ne fa uno di una matita rossa e blu, se non ha neanche un foglio con
sé? Passino i pop-corn, per le debolezze della carne possiamo anche
chiudere un occhio, ma un portatile e una matita rosa e blù, senza un
pezzo che fosse uno di carta? No, no, pensai io, la relazione doveva
esserci stata, ma qualcuno (l'assassino?) l'aveva fatta sparire. E
ancora: perché io sono in questa stanza con jonathan e non c'è traccia
della polizia? Dove è il preside della boston university? Perché david
crane aveva diritto ad una stanza ammobiliata con condizionatore d'aria
e televisione a colori e io no? Potrei avere una bottiglia d'acqua
mineralizzata senza bollicine? Decisi di partire dal fondo e chiesi di
nuovo a jonathan una bottiglia d'acqua e quello sbuffò. "Ma ti sembra il
caso di pensare all'acqua adesso?" protestò facendo gli occhi grossi, ma
visto che io stavo in silenzio a guardare un punto qualsiasi del
soffitto, uscì dalla stanza e sentii il rumore della chiave che scivola
eccetera, ci siamo capiti, mi aveva di nuovo chiuso dentro. Solo con il
cadavere di david crane, la sua carogna: non potei fare a meno di
pensare alla morte, al disfacimento della carne che di lì a pochi giorni
avrebbe spanato la tenera pelle del buon david. E come lui ero io,
sarebbe bastata una cosa da poco, una caduta, un'arteria che si recide
per, chessò, una vetrata che si spacca per normale logorio del tempo, il
ritardo nei soccorsi, il sonno, ed ecco che anche la mia vita sarebbe
cessata per sempre, come quella del pallido crane. Potevo anche pensare
che la mia dolce paolina, unica detentrice della password dei miei
discorsi crittografati, potesse riuscire a raccoglierli, bene
impaginarli e spedirli a conosciuta casa editrice con distribuzione
nazionale, e quindi darmi ancora una cinquantina d'anni di vita, se
calcoliamo una bassa tiratura all'inizio, un buon supporto critico,
qualche ristampa, uno o due inserimenti in qualche antologia scolastica,
ed ecco che la mia vita si protraeva di quel mezzo secolo che non fa mai
schifo: ma io non ci sarei stato. Nel momento in cui fossi criccato, con
spargimento o meno di sangue o di materia grigia, ecco paolina, i miei
scritti, la mia vita dopo la morte terrena, tutto si sarebbe spento come
una televisione che termina la sua programmazione per sempre: un vetro
scuro che non può neppure fare da specchio. Ecco cosa era la morte, il
niente a cui siamo tutti destinati, e david crane, lì, era una sorta di
icona pronta a ricordarmelo con i suoi occhi sbarrati, la lingua tra i
denti, la pelle sbiancata e annerita nello stesso tempo. La morte. Mi
toccai le palle, una a una, accarezzando quelle delicate ghiandole
seminali, dico proprio con le dita sotto le mutande, pelle contro pelle
e mi dissi bella la vita, sapessi fumare me ne farei una. Ma non ho il
vizio. Visto che il buon gaitano doveva essere andato a prendermi
l'acqua direttamente da qualche fresca fonte sorgiva, decisi di
riflettere sul come potevano essersi svolti i fatti. La prima ipotesi
che mi era balzata alla mente, era quella del suicidio, david crane si
chiude in camera, si rende conto che tutte le volte che qualcuno si
ricorda di lui, esclama, cazzo david crane, mi sembra di essere tornato
indietro di quindici anni, il che può essere tradotto con, sì david
crane sei stato bravino, ma ora sono quindici anni che non vali più un
cazzo, si rende conto di queste cose dicevo, prende la sua relazione, la
inghiotte, poi semisoffocato si getta sul letto per morire sul morbido,
ma vede che la saliva e la deglutizione stanno comunque salvandogli la
vita, le parole scritte non bastano per ammazzarlo, allora prende un
cuscino a fiori lì vicino e se lo ficca sulla faccia e spinge verso di
sé, e muore. Nel momento esatto della sua morte il meccanismo che tiene
la finestra chiusa cede, per normale logorio millenario, e le ante si
spalancano, facendo entrare il caldo fiato estivo sul corpo diaccio del
crane. Improbabile. L'autopsia potrebbe mostrare se veramente il crane
ha ingoiato la sua relazione, ma diciamo che è improbabile. Seconda
ipotesi, morte naturale. David Crane si stende nel letto e pensa
dormiamo giusto un'oretta che poi ho da fare la relazione, serra gli
occhi, e le palpebre non si aprono più. Poco dopo il meccanismo della
finestra, chiuso malamente dalla donna delle pulizie -una interessante
ragazza madre, dai peli rossatri e un visino che te lo raccomando,
piatta come una tavola ma brava di bocca- scatta, dico il meccanismo, e
il corpo del crane viene inghiottito dall'afoso clima della philadelphia
agostiniana. Fuori schiamazzi in lingua yankee di giovani che
amoreggiano, e dentro il silenzio torrido della morte. Fade out. Non
impossibile ma da verificare. Terza ipotesi, la discesa in terra dei
nettuniani: ecco che la navetta dei nettuniani entra nell'atmosfera
terrestre, come un'enorme mosca silenziosa nel cuore della notte, e
scende verso l'amata america, dove per america si intendano gli stati
uniti d'america, a ricercare l'ambasciata terrestre, dove il serafico
rael li attende dormendo con il sorriso sulle labbra. Ma ecco, passando
sopra philadelphia, li inganna la forma avveniristica della boston
university, e dicono nel loro tormentato idioma, ecco, ecco l'ambasciata
terrestre dove il saggio rael ci attende, ecco dove potremo fermarci e
riposare per i secoli a venire, questo dicono i piccoli nettuniani e
atterrano senza alcun rumore nel campus, e scendono dalla navetta
stupiti di non vedere il vecchio rael intorno a loro, e quindi vagano
carichi di perplessità per i viottolini, e si inciampano per le asperità
del terreno, loro, abituati a vivere dentro forme geometriche perfette,
o in nebulose intermittenti. E arrivano fino al corpo principale del
campus, e vedono una finestra e incollano le loro zampe retrattili
contro il vetro e dall'altra parte chi vedono? Vedono il povero david
crane che dal letto sta per cacciare un urlo di orrore, e poi lo vedono
sbiancare e portare le mani alla gola al petto, diventare paonazzo e poi
crollare all'indietro con un rumore sordo come di chi schiatta: infarto.
Gli alieni si guardano l'un l'altro, e poi dicono cazzo avevamo anche il
raggio della morte, non riusciamo mai ad usarlo. Comunque con il raggio
della morte sbloccano la finestra, si introducono nella stanza e, con
avanzatissime tecniche genetiche, prendono il dna di david crane e
tornano su nettuno per fare un nuovo david crane, che tenga compagnia a
budda, gesù cristo e tutta compagnia danzante. "Per ora è la più
probabile" dissi tra me e me, grattandomi il mento, e mi riferivo alla
terza possibilità. Mentre iniziavo ad elaborare la quarta possibilità,
che vedeva come principali attori di morte un popcorn dolce e una
scorretta salivazione, mi avvicinai alla finestra e poggiai le mani sul
davanzale, giusto per ritrarle di colpo di fronte al ringhio bavoso di
un grosso cane nero come la pece che stava con il muso fisso contro la
finestra, come se stesse puntando la carogna di una quaglia. "Cazzo"
dissi arretrando appena appena verso il letto e mettendomi a braccia
conserte, tipo il mago della lampada.
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