Monday, June 3, 2002
io ce e l'eternit (ot e bozza pure)
Post di Fabrizio Venerandi sul newsgroup it.comp.macintosh
Main topics: OT
Author: Fabrizio Venerandi
Invitiamo a casa nostra un amico architetto che in realtà il solo
pensiero che sia un architetto mi fa un po' ridere, insomma avrà la mia
età, mi ricordo che pisciavamo assieme controvento per fare i cinesi, e
fa l'architetto e io invece non faccio niente, non ho mai parlato del
mio lavoro non ci sarebbe molto da dire.
Comunque.
Arriva a casa nostra ci sono delle crepe, ci dà il suo punto di vista,
si beve un po' di cafernet, facciamo finta di ricordare i bei tempi, poi
dice che vuole dare un occhiata alla casa anche dall'altra parte e gli
facciamo vedere le belle piastrelle di ardesia colorata che coprono due
pareti dell'intero caseggiato e lui le guarda bene, ci chiede di quanto
l'abbiamo fatto il mutuo, e poi ci dice di sederci e ci rivela che
quelle belle piastrelle che ci proteggono del sole e dall'umidità non
sono di ardesia colorata.
- E allora cosa è?
- E' eternit.
- Uh. E' configurabile?
- No, è tossico.
Insomma non dobbiamo preoccuparci, ma mentre ce lo dice cerca in tasca
un fazzoletto per coprirsi la bocca, che non si sa mai.
Cecilia non dice niente, prende il niccolotto, maledice il nostro notaio
e la banca e il tipo dell'immobiliare, ma tutte queste maledizioni le fa
senza dire niente, muove soltanto le braccia ad afferrare il niccolotto
e dice andiamo dai nonni, quali nonni chiedo io, tutti risponde lei.
Andiamo prima dai miei genitori, casa proletaria, trionfo dell'ikea,
soprammobili imitazione murano, televisione sempre accesa sintonizzata
su un varietà di canale cinque: appena entrati mi chiedono se mi sono
laureato e io gli dico che ormai la mia laurea potrebbe servirmi solo
come scacciamosche. Scuotono la testa, come al solito e poi guardano
niccolò e scuotono la testa di nuovo: somiglia tutto a cecilia che ,
alla fine dei conti mica è figlia loro.
Ma niccolò è bello, ride, fa il ruffiano, se li intorta come al solito e
si mette a giocare con i lego, sembra davvero bravo e i miei genitori lo
guardano con tenerezza e dicono guarda com'è bravo con i lego, da grande
farà il muratore e io e cecilia ci tocchiamo negli occhi.
Oddio a ben vedere un muratore ci farebbe anche comodo.
Gli spieghiamo dell'eternit e mio padre, da buon operaio ansaldo, dice
che l'eternit tutto sommato non è male, voglio dire a piccole dosi ci
racconta di quell'imperatore che ogni giorno eccetera. Scampoli
umanistici.
Andiamo poi dai genitori di cecilia, casa post nobiliare, quadri veri
alle pareti, enorme biblioteca matriarcale, mobili tarlati accuratamente
mantenuti in vita. La mamma di cecilia le chiede se si è laureata e
cecilia sbuffa, dice che con niccolò adesso è un casino, anzi quei soldi
per la baby sitter che le aveva promesso... La madre di cecilia scuote
la testa, guarda il suo blocchetto degli assegni, scuote la testa, poi
guarda niccolò e scuote la testa un nipotino tanto bello in mano di due
sconsiderati sopratutto il padre, ma questo non lo dice.
E niccolò tutto bello sorrisoni si mette a giocare con i lego e la mamma
di cecilia lo guarda con tenerezza e dice, quanto è bravo con i lego da
grande farà l'architetto e io e cecilia ci guardiamo e poi guardiamo il
niccolotto.
Da domani solo meccano, penso.
Le diciamo dell'eternit e lei non ci risponde neppure, prende il
blocchetto degli assegni e ci mostra tutti i tagliandini strappati. "Sto
invecchiando" aggiunge soltanto e ci indica la porta da lontano.
"Andiamo anche dal medico" mi dice cecilia.
"Il pediatra?"
"Il pediatra"
"Ce, non mi fido del nostro pediatra"
"Perché?"
"Non ha un figlio!"
"Non vuole portarsi il lavoro a casa" conclude cecilia e fa un gesto con
la mano come dire basta.
Arriviamo dal medico che è ormai sera, facciamo la nostra coda, e gli
diciamo dell'eternit, del bambino, quali possono essere le conseguenze.
Lui ci osserva, scuote la testa e poi inizia a parlare.
"Le colpe dei padri ricadranno sui figli" profetizza con voce insicura.
"Hei, io non c'entro!" protesto, ma lui chiude gli occhi come per
pensare.
Rimane così per un minuto buono, poi dice due boccette di flumaxan
mattino e sera, via orale.
"Ma non vuole nemmeno vederlo il bambino?" gli chiedo osservando il
niccolotto che si sfrega gli occhi per il sonno, ma lui ha già scritto
la ricetta e l'ha data a cecilia che lo ringrazia.
Appena usciti dallo studio cecilia strappa il foglietto e dice che forse
è il momento di cambiare pediatra.
Alla sera, a casa, niccolò si addormenta e noi ci arrischiamo ad uscire
fuori, al buio della notte che si avvicina: c'è quel fresco che fa
sempre bene dopo una giornata afosa e calda. Ci sentiamo malinconici,
guardiamo le luci balluginare e pensiamo che siano stelle, ma sono i
lumini del cimitero, casa nostra è di fronte al cimitero perché costava
meno.
"Ci sono scelte che ci portano in posti da cui non si può ritornare"
dice cecilia facendo la profonda.
"Uh, parli del mutuo?"
"No, del culo. Ogni volta che mi alzo da una sedia sento una fitta al
culo"
La osservo lontana al di là delle coltri grigie che coprono ogni cosa;
vedo la sua sigaretta baluginare a illuminarle una parte del viso, il
neo vicino alla bocca.
"Mi piacerebbe dirti che è colpa mia, ma non credo"
Cecilia scuote la testa, dice che è colpa dell'epidurale. Era uno dei
possibili effetti collaterali. Ed ora per sempre si porterà dietro quel
dolore.
"Io ho un'unghia incarnata" le dico per farmi prossimo nella sofferenza,
ma lei dice che sono un cretino, che non è la stessa cosa.
Torniamo ad osservare il cielo, sento il fumo della sua sigaretta,
l'ombra lontana dell'eternit, il respiro affannato di mio figlio e vedo
anche i miei trentacinque anni, la reclame alla televisione, le batterie
dei portatili, e tutte le parole che da anni vado spargendo in giro,
come granaglia ai polli, per far finta che quei segni, quelle voci,
siano dei miei pezzi, pezzi di venerandi.
"Andiamo a dormire" dice cecilia quando le finisce la sigaretta e io
dico che porto fuori tobbia e la raggiungo.
Per strada penso cosa resterà di me dopo la mia morte e ad un certo
punto tobbia fa una terribile scarica, una cosa puzzolente tutta
sciolta, copre completamente il sentierino, il disgusto con dentro
dell'orzo perlato e io mi chiedo chi cazzo ha dato al cane dell'orzo
perlato, vicini di merda comunque torno a casa a cercare della calce da
buttare sopra, ma non la trovo ci butto un disinfettante per lavatrici,
bianco è bianco lo stesso, tobbia mi guarda con gli occhi della
sofferenza e io mi siedo, con la scatola colorata in mano e dico tobbia
tu sei come l'uccellino nelle miniere.