Wednesday, March 27, 2002
io ce niccolò mia nonna e ROBOT (ot)
Fabrizio Venerandi, dal newsgroup it.comp.macintosh
Main topics: OT
Author: Fabrizio Venerandi
"Fabrizio, domani andiamo da tua nonna"
"Perché? Cosa ti ho fatto di male?"
"Deve vedere Niccolò, sta crescendo"
"Mia nonna sta crescendo da parecchio ormai"
"Niccolò, sta crescendo niccolò"
"Ma dici mia nonna, mia nonna? Quella che l'ultima volta ha sorriso a
niccolò e gli ha detto "ti si prip un piccinin tan bellin, nun com tu
patr che 'nf a n'c azz tut il giurn"?
"Proprio lei, sta telefonandomi ogni ora"
"Uh"
"Ha detto che ha delle cose per noi"
Quest'ultima frase fece cadere la stanza nel buio. "Cose per noi" voleva
dire che la casa di mia nonna, aveva raggiunto il massimo della
costipazione di oggetti, marche, cianfrusaglie, chincaglierie e che la
sopravvivenza dipendeva da un'esplosione di materiale che avrebbe
coperto nipoti e figli per qualche mese. Fotocopie di stampe della
natività di ignoti pittori tardo millenovecentosessantechi, servili
portaceneri in alabastro a forma di conchiglia con dentro un orologio al
quarzo rotto dagli anni cinquanta, maglioncini color fucsia opalescente
con rappresentata la natività in lana rossa, serie di puttini in gesso
dipinto che cambiano colore a seconda dell'umidità e che perdono
bricioline fluorescenti, tanichette in plastica da cinque litri con
sopra l'icona della madonna e con dentro acqua di lourdes o presunta
tale, e soprattutto servizi di tazzine, delle più disperate fantasie.
"Questa volta niente merda" dico io "e soprattutto niente liquori"
aggiungo, ricordando il terribile cafernet marca brincavilla, di cui mia
nonna doveva perlomeno possedere delle azioni della maggioranza, a
giudicare dallo stock infinito di bottiglie che teneva in uno sgabuzzino
kafkiano.
"Non preoccuparti" cerca di tranquilizzarmi cecilia, "questa volta ha
parlato di una impastatrice automatica, che fa anche i succhi!" e ride,
e io penso oddio.
Arriviamo da mia nonna con un quarto d'ora di anticipo e lei ci apre la
porta e ci dice che siamo in ritardo che facciamo come la visita del
medico che appena siamo arrivati e già dobbiamo andare via che casa sua
ormai sembra un ristorante. E' piccolina, avvolta in un maglioncino
verde brillante e tiene gli occhi a fessura: ogni tanto tira fuori la
lingua per farle prendere aria, e poi la ributta dentro, con appetito.
Dietro, i fumi delle pentole che inondano la cucina e travasano fuori
per la strada.
Appena vede niccolotto s'illumina e inizia a parlare un dialetto
strettissimo delle marche, lo piglia fra le braccia e gli dice "belin
belin" che in genovese non è una bella cosa, ma in marchigiano ho
scoperto essere un vezzeggiativo. Ad un certo punto vedo che carica le
braccia e ho paura che voglia fare come david bowie in labyrinth e
scagliarlo verso il soffitto, e già mi preparo ad un tuffo riparatore,
quando invece lo trasporta verso la bocca e iniziano a sbaciucchiarsi,
bave nonnotte e bave nicolotte s'incrociano a suggellare l'unica
appartenenza alla stirpe umana, e in seconda analisi a quella veneranda.
"E' la vita" dico a cecilia, bracciandola, e lei indica le pentole sui
fuochi, la scatola di peperoncino saccheggiata. Di nuovo piccante.
Quando mangio da mia nonna ho sempre in mente hansel e gretel. Mangio
il primo di spaghetti al sugo di qualcosa di piccante e appena ho finito
mia nonna tira fuori gli scarti delle lasagne del mese prima. Se supero
anche le lasagne, cuoce subito un minestrone della vicina che gli è
avanzato che è tanto buono c'è anche il farro. Al primo 'no' s'offende,
dice che sono sciupato che non mangio niente e passiamo al secondo. Il
secondo tipico di mia nonna è aglio e spezie con in mezzo qualcosa di
indefinibile, potrebbe essere tanto filetto quanto cartone, tanto le
spezie unificano tutto il gusto ad un unico imperativo. Si ripete la
manfrina di cui sopra: finito il qualcosa mia nonna tira fuori gli
scarti del vicinato, ad ondate successive, fino allo sfinimento
dell'ospite. Questa volta però ce la caviamo con un trucco. Quando tira
fuori il secondo polpettone, esclamo "ma nonna, questo è lo stesso
polpettone che ci avevi dato l'ultima volta che siamo venuti, a
gennaio!"
Mia nonna barcolla. Nega, ma non è sicura e questo mi spaventa. Potrebbe
essere veramente il polpettone di gennaio e in effetti, adesso che lo
guardo bene, cecilia dice che può mangiare solo verdura fresca, per la
dieta, pensa di cavarsela così, e mia nonna le rifila un'insalata russa,
dai risvolti giallastri.
Niccolotto ride beato cercando di carponare.
"Ci beviamo un bel caffé?" esclama mia nonna alla fine del pranzo,
parecchie ore dopo. "E poi un goccio di cafernet, che è una delizia".
Rinuncia anche al dialetto per rifilarci il cafernet, ma il danno
maggiore è il caffé.
Non ho mai capito se il problema sia il caffé, il tritacaffé, la
macchinetta o mia nonna. Fatto sta che il caffé di mia nonna è una
brodaglia delle peggio cose, mai bevuta un cosa del genere neanche in
polonia che voglio dire. Il secondo problema è che per mia nonna quel
caffé è ottimo, intanto lei ci spreme dentro mezzo limone, dentro al
caffé giuro.
"nonna stai spremendo un limone nel caffé, trattasi di alzhaimer?" le
avevo chiesto la prima volta.
"L'è tan bon" mi aveva detto suggendo quell'impiastrata di caffé tostato
e limone.
Comunque il cafernet inchioda i metaforici chiodi della tomba papillare
scavata, diciamo così, dalla broda goda strazio goda eccetera, è una
citazione dantesca, è l'inferno credo.
Siamo sul finale, inizia la sfida. Mia nonna ci offre nell'ordine: due
maglioncini per cecilia di una sua vicina che è morta, e vedendo i
maglioncini si capisce; un servizio di tazzine nuove nuove design anni
60 arancioni con un pallone blu nel mezzo ti fa passare la voglia anche
di un caffé vero; un piatto con dentro un orologio da appendere in
cucina tanto bello basta avere un po' di colla; un pezzo di ricambio del
motore per un frullatore mulinex ("ma nonna noi non abbiamo un
frullatore mulinex", "manch'io ma l'è tan bel"), e infine lui, il robot,
anzi ROBOT.
"El frull, el fà el succ, el trit la carn el fa il past, el nouv, el ma
usat"
"Ma se non l'hai mai usato perché l'hai comprato e soprattutto come fai
a sapere che fa tutte queste cose?"
Mia nonna non riponde e mi butta nel temibile sgabuzzino alla ricerca di
una scatola che "ghe da esse", insomma la faccio breve la trovo è una
scatola di cartone nello scaffale più in alto, dietro ad un set di
qualcosa, è una scatola pesantissima, anzi pesissima e la tiro giù, mi
faccio un male cane perché mi rimane il dito tra la scatola e un piatto
cinese credo, una cosa di piombo vanigliato, e lo porto in salotto e
guardiamo questa scatola bianca con un disegno di una costruzione e la
scritta ROBOT.
Apro e vengo assalito da un numero spropositato di accessori in
plastica semitrasparente, lame bicuspidi, palettine cromate. E infine la
base di ROBOT, una cosa pesantissima, sembra uscito da un catalogo di
poesie di balestrini, di ferro lucido brillante, a stento riesco a
metterlo sul tavolo.
"Ma cosa è questa roba?" faccio io asciugando il sudore. Di che marca è
e lo osservo meglio.
Sul davanti c'è scritto ROBOT, e sotto ci sono due grossi pomelli, uno
rosso e uno bianco.
Basta. Nessuna altra scritta. Lo giro per vedere la marca, dove cazzo è
stato fatto, quando l'hanno costruito sui macintosh c'è scritto.
Nulla.
Lo alzo, a fatica, lo giro, lo rigiro, sul lato sul fianco da davanti e
da dietro: c'è solo scritto ROBOT e i due pomelli, niente altro.
'Meraviglioso' ammetto toccandomi la bocca.
Cecilia è più pratica vuole vedere se funziona.
"Se funziona, dico io, e lo usiamo, credo che diventiamo pereguibili
legalmente".
Mia nonna è scettica: siccome lei non è riuscita ad usarlo, diventa
automaticamente una cosa che è meglio se ci guardiamo a casa nostra.
"Comunque nonna questo non è nuovo!" e le dico che il design e lei mi
risponde che è nuovo, che l'ha comprato subito dopo che è morto il nonno
e io le dico che il nonno è morto da dodici anni e che comunque quello è
più vecchio e lei finge di piangere il ricordo del nonno, ma io non
mollo, e poi è senza marca credo sia illegale, non c'è scritto dove è
stato fatto, insomma dove l'hai comprato, allora lei si stringe nel
maglioncino verde e dice che l'ha preso in una di quelle gite gratis,
quelle che ti mettono i volantini nelle cassette della posta, che a metà
gita hanno iniziato a vendere roba e lei si è comprata il robot che
hanno spiegato tutto che fa un sacco di cose.
"C'è il manuale!" fa cecilia felice.
Il manuale.
Il manuale è in italiano, è un capolavoro neoavanguardista, ci sono
capitoli che iniziano con COME TRASFORMARE LA CARNE DI SECONDA O TERZA
QUALITA' IN CARNE DI PRIMA QUALITA'... CON ROBOT, oppure tematiche
sociali tipo DEL PERCHE' NON CI SI FA PIU' IL BURRO IN CASA. Tra le
altre cose scopro che ROBOT è indistruttibile, che ha una cosa interna
che se si sta per rompere si spegne e si riposa, che le sue lame, man
mano che vengono usate, su affilano sempre più non si logorano bensì
migliorano, che gli aggeggi in plastica non sono di plastica ma di una
lega chiamata markenius o marcinkus una cosa del genere, con la quale
costruiscono le fusoliere degli aereoplani, e che ROBOT è il mio padrone
mi sono già innamorato. Guardo in fondo al manuale quando è stato
stampato, da chi, dove: niente di niente: ROBOT è ROBOT e quello è solo
un piccolo vangelo ad uso didascalico.
"Lo prendiamo?" mi sussurra cecilia.
"Solo il libretto vale lo sforzo" le rispondo carezzando la ghisa
brillante di ROBOT.
A casa proviamo se funziona, adesso ho una striscia di succo di carota
sul soffitto ed ho scoperto che il metallo è un conduttore.