Fabrizio De André, 1990

La domenica delle salme

Tentò la fuga in tram verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata dove galleggia Milano
non fu difficile seguirlo, il poeta della Baggina
la sua anima accesa mandava luce di lampadina

gli incendiarono il letto sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba un pettirosso da combattimento

I Polacchi non morirono subito e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime lanciate verso il mare
I trafficanti di saponette mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta ne era dispensato nel novantuno

La scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutto il culo
La piramide di Cheope volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso, schiavo per schiavo, comunista per comunista

La domenica delle salme non si udirono fucilate
il gas esilarante presidiava le strade
La domenica delle salme si portò via tutti i pensieri
e le regine del “tua culpa” affollarono i parrucchieri

Nell’assolata galera patria il secondo secondino
disse a “Baffi di Sego” che era il primo, si può fare domani sul far del mattino
E furono inviati messi, fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l’amputazione della gamba di Renato Curcio, il carbonaro

Il ministro dei temporali in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni

Voglio vivere in una città dove all’ora dell’aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue o di detersivo
A tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile perché avevamo un cannone nel cortile

La domenica delle salme nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro del defunto ideale
La domenica delle salme si sentiva cantare
quant’è bella giovinezza, non vogliamo più invecchiare

Gli ultimi viandanti si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz’oretta, poi ci mandarono a cagare

Voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio
Voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l’Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti, e dai padri Maristi

Voi avete voci potenti, lingue allenate a battere il tamburo
Voi avevate voci potenti, adatte per il vaffanculo

La domenica delle salme gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti il cadavere di Utopia
La domenica delle salme fu una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni di una pace terrificante

mentre il cuore d’Italia da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro di vibrante protesta.

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